La prima lezione di Aikido

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Assicurati di selezionare in anticipo il giorno e l’orario desiderati per la tua lezione di prova. È importante considerare la tua età per scegliere la lezione più adatta.

Per la lezione di prova, non è necessario indossare un Keikogi, l’abito tradizionale bianco per la pratica delle arti marziali. Opta per abiti comodi e assicurati di arrivare al dojo Shin-bu almeno 15 minuti prima dell’inizio della lezione. Avrai così il tempo di cambiarti e essere pronto per l’inizio dell’attività.

Entra in silenzio nel dōjō, che deve essere considerato un luogo totalmente diverso da una classica palestra, in quanto luogo che prevede un allenamento del corpo e della mente, un’etica educativa e una direzione di crescita spirituale dei praticanti. Tutto ciò è evidenziato dalla parola dō (michi) cioè Via, Cammino spirituale.


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La prima lezione è gratuita.

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Dopo essersi cambiati, ci si dispone tutti lungo una fila seduti sul tatami (tradizionale pannello rettangolare in paglia di riso che pavimenta le case in Giappone) e si inizia a praticare la meditazione seduta; gli allievi sono disposti di fronte al maestro che, a sua volta, dà le spalle allo shomen, la parete principale che ospita, di regola, l’immagine del Fondatore.

Dopo alcuni minuti di silenzio a occhi chiusi segue il saluto (rei) rivolto prima verso il Fondatore e poi reciprocamente tra il maestro e gli allievi. Durante il rei ci si inchina proferendo la tradizionale formula di invito alla pratica e di ringraziamento, onegai shimasu.

Subito dopo tutti si portano in piedi per eseguire gli esercizi di concentrazione e respirazione (kokyū-ho). A seguire spesso si eseguono dei rituali della tradizione shintoista come funakogi undo, furitama e shihōgiri, esercizi che approfondirete al dojo.

Segue una ginnastica atta a rilassare, allungare e tonificare i muscoli, mobilizzare le articolazioni e preparare il corpo all’intensa pratica.

Quindi si inizia ad apprendere estudiare le cadute (ukemi) essenziali per la propria sicurezza. Questa pratica, tra l’altro, insegna che nella vita “l’importante non è evitare di cadere, ma sapersi rialzare”. Le cadute inoltre insegnano l’umiltà ai praticanti aiutandoli a lasciar perdere il predominio gerarchico della mente sul corpo.

Giunti a questo punto della lezione solitamente ci si allena nell’apprendimento degli spostamenti di base del corpo (taisabaki) che permettono di rendere spontanei i movimenti sul tatami. Questa pratica è estremamente importante perché, rendendo automatici e spontanei i passi, si costruiscono dei “binari” chiari e ben delineati sui quali il “treno” delle tecniche può svilupparsi e avanzare.

Arrivati a questo punto, si prosegue normalmente passando all’allenamento delle tecniche prima di base e poi avanzate, che si possono suddividere in due grandi gruppi:

  • Immobilizzazioni e leve, definite osae waza (tra cui quelle paradigmatiche di ikkyō, nikyō, sankyō, yonkyō e gokyō) che hanno lo scopo di costituire le basi dell’allenamento rafforzando il corpo del praticante e insegnando i principi dell’Arte.
  • Proiezioni (tutti i kokyūnage rientrano in questa categoria), che permettono di incrementare notevolmente la nostra energia e il ritmo della pratica.

Possiamo dire che le immobilizzazioni servono principalmente a stabilizzare il corpo, centrarsi, insegnare il controllo, sviluppare la coordinazione. Al contrario, le proiezioni aiutano a espandersi, a liberare ed esprimere forza ed energia.

Tutto l’allenamento è eseguito praticando delle forme prestabilite in cui ci si alterna nella parte dell’attaccante (uke) e in quella di chi esegue il movimento di difesa (tori). L’allenamento prevede sia lo studio dell’aikidō a mani nude su differenti tipi di attacchi (soprattutto diverse combinazioni di prese, colpi di taglio e pugni), sia lo studio delle armi tradizionali.

Alcune tecniche sono molto particolari e tipiche dell’aikidō come le ushirowaza (le tecniche eseguite su prese da tergo) che vengono praticate per aumentare la sensibilità della schiena e per allenarsi a fronteggiare idealmente più avversari disposti tutt’intorno.

Anche le tecniche in suwariwaza, cioè la pratica eseguita in ginocchio, che derivano direttamente dall’ambito della cultura e della tradizione nipponica, praticamente oramai senza alcun risvolto marziale, sono utilissime per rafforzare i piedi, aumentare la forza e la stabilità nelle anche, rendere più potente e sciolto il movimento.

L’uso di alcune armi tradizionali appartenenti alla classe dei samurai, la spada (bokken), la lancia (jō) e il pugnale (tantō), serve per mettere in evidenza sia i nostri errori sia le nostre qualità. Impugnando un’arma, è come se il nostro braccio diventasse più lungo e quindi tutto quello che facciamo viene enfatizzato, nel bene e nel male; contemporaneamente si espandono le nostre possibilità di pratica e diventa un ottimo esercizio per il controllo delle sensazioni (pratyahara).

Spesso la lezione termina con l’esercizio di haishin undō, “movimento reciproco di allungamento della schiena”, svolto a coppie, per rilassare il corpo e allungare la schiena o con il più classico, suwariwaza ryōtedo(/to)ri kokyū-hō, una tecnica di proiezione eseguita in ginocchio con doppia presa ai polsi di cui esistono infinite variazioni.

Completata quest’ultima parte ci si dispone nuovamente in fila di fronte al lato principale del dōjō per una breve meditazione di chiusura, per poi congedarsi con un ringraziamento formale tra maestro e allievi. A volte il maestro, prima del saluto finale, invita a immaginare chiaramente le tecniche insegnate e praticate durante la lezione.

Tutto quanto fin qui descritto rappresenta l’aspetto formale che viene riempito da una profonda visione filosofica e religiosa fondata sull’amore. Infatti Ō Sensei associava il kanji ai di aikidō che significa “armonia” con un altro ideogramma che si legge sempre ai ma si traduce con “amore”. “Occorre unirsi al partner di pratica piuttosto che pensare di eseguire una tecnica all’altro, trattando con gentilezza il corpo del compagno” (H. Tada). Ugualmente con le parole di M. Ueshiba: L’amore non è lotta. Ai (amore) non è lotta. Nell’amore non ci sono nemici. Colui che pensa di un altro che sia “il nemico”, colui che sta sempre lottando con qualcuno, è fin dall’inizio lontano dallo spirito/mente dell’Universo. Le persone che non riescono a raggiungere l’unione con lo spirito/mente universale non potranno mai ottenere l’armonia con i movimenti dell’Universo. Se non fosse così, lo sforzo marziale di ogni persona non sarebbe il vero bu, ma piuttosto il bu della distruzione